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Tecnica

Cappella della Madonna

La presenza di uno spesso strato di scialbo che maschera la superficie non consente un’analisi critica dei processi utilizzati per modellare la malta né di individuare le numerose integrazioni eseguite nei precedenti interventi di restauro.
Francesco Silva non utilizza procedure tecniche particolarmente complesse: le strutture di sostegno delle figure sono costruite con laterizi e pezzi di coppo. Pur trattandosi di statue dalle considerevoli dimensioni e con aggetti particolarmente pronunciati, i rilevamenti con il pacometro hanno confermato che le armature sono state realizzate con pochi ed essenziali elementi metallici che seguono, come nelle ali degli angeli, la forma dell’ingombro (Fig. 1, 2, 3, 4, 5, 6). Anche i Profeti, seppure distanti dalla parete di fondo, hanno come punti di ancoraggio solamente delle semplici vergelle collocate in basso, in prossimità delle cornici del timpano.
La malta di corpo, composta da calce e sabbia di granulometria relativamente fine – come più volte è stato osservato nelle opere di questi artisti – è priva di cretti da ritiro nonostante sia applicata in considerevoli spessori (Fig. 7). Questo è possibile grazie all’aggiunta di una percentuale di gesso che le indagini scientifiche hanno individuato in quantità non particolarmente consistenti. Purtroppo, sono pochi i punti in cui questi strati preparatori non sono stati coperti o inglobati nei precedenti interventi di restauro. Rifacimenti estesi sono presenti nella figura del Profeta di destra, che sembrerebbe essere in buona parte ricostruito, forse negli anni Venti del Novecento (Fig. 8, 9, 10). Buona parte dei panneggi del busto, in particolare quelli sopra il ginocchio, sono infatti piatti e approssimativi, privi dell’incisività e della volumetria tipiche delle opere del Silva.
Sicuramente autografi di Francesco Silva sono gli angeli adoranti sopra il cornicione: mostrano con chiara evidenza i tratti stilistici di questo artista e le modalità operative con cui lavora lo stucco, sia nell’impostazione scenografica delle figure nel loro insieme, sia nei dettagli del trattamento delle ciocche dei capelli e delle piume delle ali. La correttezza dei particolari anatomici, della muscolatura delle braccia, l’incisività del modellato dei capelli e la veridicità dei tratti somatici dei volti, seppure alterati dallo spesso strato di scialbo, consentono di confermare i modi di un plasticatore avvezzo all’utilizzo della creta, come più volte si è riconosciuto nell’opera di Silva. Questi stessi tratti sono evidenti anche negli angeli a bassorilievo intorno al tabernacolo. Trattandosi di opere di piccole dimensioni e con un aggetto minimo, non presentano particolari strutture di supporto e ancoraggi. La caratterizzazione dei materiali costitutivi ha messo in evidenza la presenza di due strati di malta privi di marcate differenze: calce, sabbia, calcite e polvere di marmo di sottile granulometria, con l’aggiunta di piccoli quantitativi di gesso.
Sulla volta si riconoscono le mani di un artista differente, individuato dalla critica in Domenico Fontana di Muggio, coadiuvato da almeno un collaboratore. Purtroppo la caratterizzazione dei materiali costitutivi non ha fornito indicazioni utili ad una possibile attribuzione. In particolare, le analisi svolte su altre opere di questo artista (nella cappella del Rosario della Parrocchiale di Balerna e nel presbiterio di Santa Maria al Carmelo di Coldrerio) pur rappresentando un utile elemento di paragone, non forniscono dati sufficienti a istituire confronti attendibili. Si possono però individuare diversi punti di contatto tra gli stucchi di Morbio e quelli della navata centrale del santuario del Sacro Monte di Ossuccio, attribuiti a Giovan Battista Muttoni (1631-1675)1. Il salto cronologico è forte, ma altrettanto forti sono le similitudini stilistiche che invitano a considerare quanti elementi di condivisione, tecnici e stilistici, vi fossero fra gli artisti che operavano in questi anni nella medesima regione.

Fig. 1
Fig. 2
Fig. 3
Fig. 4
Fig. 5
Fig. 6
Fig. 7
Fig. 8
Fig. 9
Fig. 10

Cappella dei Santi Pietro e Paolo

La superficie degli stucchi è coperta da tinteggiature e da una vernice lucida che mascherano la finitura originale per cui, come per le altre cappelle, è difficile valutare le modalità di lavorazione. Anche la policromia dei fondi dei bassorilievi non sembra originale.
I due angeli dell’archivolto, attribuiti a Francesco Silva, sono realizzati senza un marcato aggetto volumetrico e sono fortemente ancorati al piano di fondo della parete senza particolari accorgimenti tecnici. Le proporzioni sono equilibrate e i dettagli figurativi realizzati con attenzione, come si può osservare nella resa anatomica delle ginocchia, delle braccia e del collo. Le finiture che appaiono grossolane e poco curate, come le dita delle mani e dei piedi, sembrano frutto delle integrazioni eseguite durante gli interventi di restauro (Fig. 11).
La spessa scialbatura che copre tutta l’opera tende a mascherare e livellare un modellato in origine inciso e ben definito, com’è possibile osservare nel trattamento delle piume delle ali e dei capelli degli angeli. In questi dettagli si apprezza la grande capacità di Francesco di utilizzare appieno le possibilità espressive dello stucco, con forti accenti chiaroscurali e un trattamento delicato della superficie. La stessa cura si può osservare nel cartiglio all’apice dell’arco d’ingresso, dove il motivo zoomorfo dei delfini è accoppiato a una valva di conchiglia, con la stessa combinazione fantasiosa, ancora legata al Manierismo, che è presente in altre sue opere. Allo stesso tipo di repertorio sono riferibili i bassorilievi delle Virtù cardinali che decorano l’intradosso: dimostrano quanto questa tipologia decorativa sia particolarmente congeniale allo stuccatore, capace di coniugare il dettaglio miniaturistico con la speditezza di un bozzetto (Fig. 12).
Le forme, la costruzione dei panneggi e il trattamento della materia delle opere realizzate da Agostino in questa cappella appaiono molto vicine ai modi del padre, se non forse per una maggior enfasi espressiva nella postura degli angeli. A questa non corrisponde però un’altrettanta caratterizzazione dei tratti somatici: Agostino già in quest’opera precoce utilizza quella capacità di sintesi delle forme che si apprezza più nitidamente nel corso della maturità (Fig. 13, 14).
Si deve inoltre registrare un cambio di gusto, rispetto al padre, nell’uso degli elementi decorativi. Si vedano, ad esempio, l’utilizzo di cornici lineari, prive di quell’abbondanza di dettagli che si possono osservare in opere di inizio secolo. Gli elementi seriali delle modanature si limitano agli ovuli e alle palmette, mentre sono frequenti forme più semplificate come i rami di palma e le foglie di alloro. Sono praticamente assenti motivi zoomorfi, i puttini sono meno numerosi e meglio definiti e i cartigli e le mensole assumono forme più distese e dilatate.
Le sculture a tutto tondo, in particolare le figure allegoriche che richiamano i due santi titolari collocate nelle pareti laterali, mostrano una notevole dinamicità nella struttura compositiva, oltre che una consumata padronanza nella realizzazione delle strutture e nelle armature di sostegno e di ancoraggio, di cui è stato possibile distinguerne la presenza soltanto parzialmente (Fig. 15, 16, 17). Le figure, addossate alla muratura della nicchia, hanno una struttura interna semplice, che si suppone sia stata realizzata con mattoni e pietrame allettato con malta di calce e sabbia. Tuttavia alcuni dettagli come le chiavi di San Pietro e le teste dell’Idra, simbolo dell’eresia sconfitta da San Paolo, hanno armature interne di notevole complessità. Non è inoltre da sottovalutare la capacità di creare un impasto adatto a realizzare particolari del modellato tanto fragili e delicati. Non si può escludere che nella malta sia stato aggiunto del gesso, individuato anche in altre decorazioni in stucco sia di Francesco che di Agostino.
Particolarmente interessanti sono gli angeli situati ai lati del frontone dell’altare maggiore, sia dal punto di vista stilistico sia da quello tecnico (Fig. 18, 19, 20). Anche se non vi sono evidenze archivistiche che possano far supporre l’intervento di Gianfrancesco, queste figure hanno innegabili similitudini stilistiche con altre sue opere. Si vedano ad esempio i tratti somatici dell’angelo di destra, con le caratteristiche labbra carnose e il piccolo naso, oppure le ciocche dei capelli e la fronte arrotondata, come anche il trattamento delle piume delle ali e l’anatomia del busto e del bacino. Purtroppo alcuni estesi rifacimenti delle mani e dei piedi, parzialmente mascherati da uno spesso e omogeneo strato di scialbo, non consentono di avanzare valutazioni più precise. Si può però supporre che, analogamente a quanto avvenuto nella cappella di San Giuseppe, dove Gianfrancesco opera nella volta e nelle pareti laterali, anche in questa cappella egli sia intervenuto adeguando e modificando soltanto una parte della decorazione del padre. Inoltre, l’analisi degli strati preparatori ha consentito di individuare la presenza di fibre vegetali (con tutta probabilità stoppa) impastate nella malta di corpo delle ali, in modo del tutto analogo a quanto rilevato negli angeli collocati sulla trabeazione della chiesa di Sant’Anna a Morbio Superiore, che Silva padre e figlio hanno eseguito nei primi anni del Settecento (Fig. 21, 22). Questo dettaglio tecnico, che non è stato rilevato in nessun’altra opera di Agostino, potrebbe avvalorare l’ipotesi dell’intervento successivo di Gianfrancesco.
Applicata in spessori molto considerevoli, fino a quattro o cinque centimetri, la malta di corpo non ha fessurazioni o cavillature, molto probabilmente per l’aggiunta di gesso nell’impasto (Fig. 23). È realizzata con aggregati relativamente fini e presenta una colorazione leggermente giallastra, forse dovuta ai depositi di polvere e nero fumo. Le figure sono ancorate alla parete con fili di ferro (a volte usati doppi e attorcigliati per aumentarne la tenuta) collegati a grossi chiodi inseriti nella muratura. L'immagine permette anche di osservare come le figure siano ben rifinite nelle parti lasciate a vista e siano incomplete nelle parti nascoste.

Fig. 11
Fig. 12
Fig. 13
Fig. 14
Fig. 15
Fig. 16
Fig. 17
Fig. 18
Fig. 19
Fig. 20
Fig. 21
Fig. 22
Fig. 23

Queste decorazioni in stucco, realizzate nell’arco di cinquant’anni da tre generazioni di Silva, dimostrano una forte continuità tecnica e - in parte - anche formale. L’aggiornamento dei modelli e il travaso delle competenze da padre a figlio ha determinato, nel caso di molte delle botteghe di stuccatori ticinesi, il conseguimento di una vera e propria tradizione famigliare, una continuità che è stata determinante per la gestione di cantieri vasti e prolungati nel tempo, e un fattore chiave del successo internazionale di cui hanno goduto.
Anche se le diverse mani sono individuabili, la composizione decorativa segue una comune struttura sintattica. Si veda, ad esempio, come il frequente utilizzo di elementi figurativi nelle cornici di Francesco torni negli stucchi realizzati da Agostino sulla volta del presbiterio. Questi ultimi hanno forme più distese, sintetiche e meno dense di dettagli, ma si accostano al resto dell’apparato in assoluta continuità e coerenza. Le analogie e le differenze diventano ancora più evidenti se a questo confronto si avvicinano i rilievi di Gianfrancesco. In essi è presente il gusto del dettaglio quasi miniaturistico delle opere del nonno, a cui si aggiunge una superficie più frastagliata, lavorata con un senso pittorico.
Le strutture di supporto sono verosimilmente realizzate con malta grossolana e mattoni, mentre le armature di sostegno con elementi in ferro, come negli ancoraggi visibili sul retro di San Giorgio (Fig. 24, 25, 26, 27, 28). Analogamente a quanto osservato in altre sue opere, anche qui Francesco dimostra di sapere restituire con pochi tocchi dettagli naturalistici, come le piume delle ali dei putti, la pelle del drago o la plissettatura della stoffa. È molto probabile che Francesco abbia realizzato le parti figurative insieme a quelle decorative come si vede osservando le sovrapposizioni degli strati di malta (Fig. 29, 30, 31, 32, 33).
Gli angeli adoranti sopra il cornicione sono eseguiti da Agostino in modo estremamente funzionale: lo stuccatore non ha utilizzato alcuna armatura di ancoraggio per fissarli alla parete, sfruttando l’appoggio dello spessore della trabeazione (Fig. 34). Le figure non mostrano particolari accorgimenti nella composizione della struttura di sostegno, realizzata con una malta di corpo in calce e sabbia non selezionata. Sono presenti anche elementi in ferro e mattoni, che si intravedono sotto la malta di allettamento. Quest’ultima, benché applicata in spessori consistenti, non presenta segni di cretti e fessure da ritiro: si può perciò ipotizzare che sia stato utilizzato del gesso come additivo. La lavorazione della malta di finitura è piuttosto approssimativa e priva delle qualità che sono state osservate in altre opere di Agostino. Questo fatto, insieme alla disomogeneità stilistica tra le varie parti, testimonia la presenza dei collaboratori ricordati nella documentazione di archivio, ma anche la sovrapposizione di fasi realizzative diverse.
Nella volta sono state rinvenute quattro buche pontaie, due per ogni lato, collocate al di sopra della trabeazione. Non sono state tamponate probabilmente per permettere di rimontare senza difficoltà i ponteggi per la successiva realizzazione dei dipinti murali.
Sono di Gianfrancesco i quattro bellissimi ovali in terracotta. Al più giovane dei Silva vanno forse attribuiti anche i puttini in stucco che li sostengono, come il resto delle decorazioni del sottarco e delle lesene laterali. La superficie della terracotta rivela l’utilizzo di strumenti di lavorazione – stecche e spatole metalliche – identici a quelli usati nella lavorazione dello stucco. La diversa consistenza dei due materiali produce però effetti diversi, più netti e precisi nella terracotta e più sfrangiati e sfilacciati nello stucco (Fig. 35, 36, 37, 38).

Fig. 24
Fig. 25
Fig. 26
Fig. 27
Fig. 28
Fig. 29
Fig. 30
Fig. 31
Fig. 32
Fig. 33
Fig. 34
Fig. 35
Fig. 36
Fig. 37
Fig. 38

Le caratteristiche delle malte di corpo e di finitura sono state osservate nella parte superiore delle sculture a tutto tondo, dove l’incompletezza della lavorazione lascia intravedere bene i dettagli (Fig. 39, 40, 41, 42, 43, 44). Lo strato di corpo è applicato in spessori piuttosto consistenti, fino a due o tre centimetri, senza cavillature da ritiro (per cui è possibile ipotizzare l’aggiunta di gesso nell’impasto). L’applicazione è rapida e spedita e qui, oltre ai consueti segni di stecca e cazzuola, sono visibili le tracce di una spatola dentata.
Il repertorio degli ornamenti è piuttosto ricco e vi è una particolare profusione di modanature con decorazioni seriali a stampo, mentre le cornici degli ovali della volta hanno forme più plastiche e voluminose rispetto ad altre realizzazioni di Agostino (Fig. 45). Seppure mascherati dallo scialbo, che non consente di valutare le caratteristiche materiche della superficie, sono visibili alcuni tratti caratteristici della sua tecnica esecutiva, soprattutto nei santi ai lati dell’altare maggiore, che sono tra le figure più riuscite di questo autore (Fig. 46, 47, 48).
La mano di Gianfrancesco è riconoscibile in moltissimi elementi della volta e delle pareti, nella caratterizzazione somatica di quasi tutti i puttini, nell’attenzione ad alcuni dettagli anatomici, come le fossette delle guance e dei gomiti, e per il suo modo caratteristico di realizzare i panneggi (Fig. 49, 50). Sono attribuite a Gianfrancesco anche le decorazioni a stucco delle pareti laterali che, oltre alle differenze stilistiche, mostrano un diverso trattamento della superficie rispetto al padre, e un differente modo di plasmare la malta, meno incisa e più abbozzata (Fig. 51). Si vedano, ad esempio, le teste dei puttini che incorniciano le tele. Qui Gianfrancesco ha dimostrato tutti i suoi limiti, realizzando delle decorazioni che nel loro insieme e da terra sono apprezzabili, ma che, viste da vicino, sono approssimative e sgrammaticate. Restano tuttavia da chiarire le modalità del suo intervento: soprattutto è difficile comprende esattamente quale sia stata la relazione con il lavoro del padre. Le testimonianze archivistiche indicano che nel 1671 la volta era decorata con stucchi ma in quella data Gianfrancesco era poco più che undicenne.
Si può osservare chiaramente che gli stucchi della volta sono stati eseguiti prima dei dipinti murali, anche se, esaminando con attenzione, si può notare che questa successione presenta alcune incongruenze. Ad esempio il puttino in stucco intorno alla cornice centrale, chiaramente di mano di Gianfrancesco, presenta un insolito affossamento della superficie in prossimità del bordo delle pitture murali, che al contrario è regolare ed omogeneo lungo il margine delle cornici (Fig. 52, 53). È quindi possibile che Gianfrancesco abbia conservato le cornici e l’impianto decorativo preesistente eseguito dal padre, e sia intervenuto nella riparazione di alcuni danni che noi oggi non riusciamo ad identificare a causa dei successivi interventi di restauro, e che abbia eseguito ex novo alcune parti, con un linguaggio più vicino alla sua sensibilità, ricercando, come in altri casi, di mantenere organicità e coerenza d’insieme.
Si noti che alcuni dettagli della decorazione sono stati realizzati con materiali diversi: una corda per la cintura del saio di Sant’Antonio e di San Pietro d’Alcantara e il legno per la croce di quest’ultimo. Di legno sono anche delle trombe degli angeli tubicini sul frontone dell’altare. Queste astuzie permettevano di rendere più spedito il lavoro e aumentavano l’effetto naturalistico delle opere, un espediente talvolta usato anche da altri stuccatori (Fig. 54, 55).

Fig. 39
Fig. 40
Fig. 41
Fig. 42
Fig. 43
Fig. 44
Fig. 45
Fig. 46
Fig. 47
Fig. 48
Fig. 49
Fig. 50
Fig. 51
Fig. 52
Fig. 53
Fig. 54
Fig. 55